INCAS 2002
Storia di una Transandina “Fai da Te”
Testo di Alessandra Bubulin

Ed eccoci qua. Il grande giorno è arrivato, il giorno della partenza per questo viaggio che da tanti mesi ormai accompagna mentalmente le nostre giornate. E’ tutto pronto, noi ci siamo, c’è l’entusiasmo, c’è l’emozione e c’è anche un po’ di sano ed immancabile timore. A Lima ci sono ad attenderci, o almeno si spera, le nostre undici motociclette partite per mare ben quaranta giorni fa. Il volo prevede uno scalo a Madrid, il che ci offre l’ occasione per conoscerci un po’ meglio trascorrendo una piacevolissima serata davanti a una gustosissima cena. Partecipano a questa avventura diciannove persone provenienti da varie parti d’Italia. L’indomani il nostro aereo ci condurrà dall’altra parte del mondo e finalmente avrà inizio il viaggio vero e proprio ma già a diecimila metri d’altezza l’immenso abito smeraldino della foresta amazzonica ci lascia sbalorditi e incantati. Piano piano l’aereo abbandona il sipario azzurro del cielo e scivola dentro grosse coltri di nubi dense e lattiginose che accompagnano dolcemente l’arrivo in pista del nostro aereo. Lima ci è apparsa esattamente così: densa, lattiginosa e carica di umidità.
Qui a Lima ci fermiamo il tempo necessario per sbrigare le faccende burocratiche relative all’assicurazione, ma ovviamente la cosa che ci preme di più è rivedere le nostre care motociclette dopo settimane di lontananza e verificarne lo stato di salute. Finalmente dopo ore di estenuante attesa dentro un labirinto di carte, documenti e quant’altro riusciamo a salire in sella alle nostre beniamine e facciamo ritorno all’Hostal Mochilero’s.
L’indomani mattina cade una pioggia leggera ma nonostante questo siamo ugualmente euforici e carichi di entusiasmo e poi ci fidiamo delle rassicurazioni di Hugo Velarde che ci promette il sole prima di Ica. Il simpatico Hugo Velarde ci seguirà lungo tutto il tratto peruviano con il suo pulmino. Instancabile, disponibile e gentile ci porterà i bagagli, ci sarà d’aiuto in caso di necessità e “traghetterà” anche qualche passeggera nei tratti più impervi di sterrato. Nel giardino del Mochilero’s, sotto il cielo plumbeo di Lima, tutto è pronto e mentre il signor Solari, gestore dell’ostello, ci prega di portare i suoi saluti in Italia ci apprestiamo a lasciare la città sui nostri cavalli d’acciaio.

DA LIMA A NAZCA
Imbocchiamo la Carretera Panamericana, la mitica strada che congiunge l’Alaska alla Terra del Fuoco. E’ un lungo nastro d’asfalto fiancheggiato da territorio semidesertico punteggiato qua e là da qualche villaggio da cui si scorge a malapena il paesaggio circostante. La nebbia infatti si è trasformata in un muro biancastro che ci infreddolisce e ci bagna. Fortunatamente le profezie di Hugo si avverano e la nebbia piano piano lascia il posto ad un sole tiepido prima e quasi caldo poi che ci costringe ad alleggerirci di alcuni strati di abbigliamento. Il sole e la temperatura piacevole ci ritemprano e dopo giorni di cielo grigio questo azzurro ci sembra veramente un sogno. Sostiamo per pranzo a Huacacina dove attorno a noi si stagliano, altissime e bianche, grandi dune di sabbia . Ci concediamo un meritato riposo immersi in questo paesaggio dai connotati tipici di deserto africano ma la strada chiama e verso sera giungiamo a Nazca sulle cui famosissime linee l’indomani sorvoleremo.


DA NAZCA A PISCO
Qui a Nazca il tempo è splendido e il cielo limpidissimo. Di buon ora ci rechiamo all’ aeroporto dove ci sono ad attenderci i piccoli velivoli dai quali ammireremo le tanto note quanto misteriose linee di Nazca. Superati i primi istanti di apprensione, dovuti alle veloci evoluzioni del pilota, ci godiamo increduli lo spettacolo che scorre sotto di noi. Distribuiti su una superficie, che copre migliaia di metri quadrati, si susseguono intricate trame di linee geometriche e centinaia di enormi disegni raffiguranti animali. Questo spettacolare paesaggio desertico, da sembrare quasi lunare, tagliato a metà da un cordone d’asfalto nero, richiama alla memoria antichi enigmi irrisolti e tutte quelle incisioni così perfettamente scolpite ci lasciano a metà tra lo stupore e l’incredulità.
Con gli stomaci ancora un po’ sottosopra, a causa delle rapide virate dei velivoli, ci accingiamo a proseguire la nostra tappa odierna che ci condurrà nei dintorni di Pisco e più precisamente a ridosso della riserva naturale di Paracas ripercorrendo, questa volta in senso inverso, il medesimo tratto di Panamericana che ieri sera ci aveva portato fino a qui.
A circa trenta chilometri dall’aeroporto imbocchiamo una pista sterrata dove finalmente i più appassionati di off-road possono gustarsi il primo assaggio di guida fuoristrada. Ci troviamo praticamente in pieno deserto in una vasta zona disseminata di teschi ,mummie e frammenti d’ossa, conosciuta come Cimiterio de Chaucilla. Davvero molto molto suggestivo!!!!!!!
Giungiamo nelle vicinanze di Pisco dove pernottiamo in un modesto albergo affacciato sull’oceano. Il mattino successivo ci avviamo al molo. Da qui, con piccole barche a motore, raggiungiamo, avvolti da una nebbiolina leggera, le Isole Ballestas. Su questo piccolo arcipelago, reso inaccessibile all’uomo, vivono e nidificano migliaia di uccelli, foche, leoni marini, pinguini. Con aria molto indifferente si dedicano alle loro attività incuranti degli sguardi curiosi dei numerosissimi turisti che a bordo delle imbarcazioni li immortalano innumerevoli volte. Durante il tragitto in barca avvistiamo, inciso su un fianco della montagna , il famoso Candelabro. Anche questa enorme incisione, come le linee di Nazca, non ha spiegazione e la sua origine rimane oscura. Con il passare delle ore la nebbia si dirada e con il sole tiepido cos’altro c’è di meglio di un giretto con la motocicletta? Magari in un bel posto lontano dal traffico dove con un dito si tocca il cielo dell’emisfero australe e con un altro l’Oceano Pacifico? Ebbene, ci siamo!!!
La penisola di Paracas con il suo promontorio è davvero di una bellezza straordinaria e le alte scogliere che si tuffano ripide sul mare, con la luce del tramonto, aprono uno scenario incantato. Il fondo è sabbioso ma piuttosto battuto, anche per effetto dell’ umidità spesso presente, quindi correre in lungo e in largo o catapultarsi giù dalle dune, oltre a non presentare insidie, risulta decisamente molto divertente.
Domani lasceremo la costa e cominceremo ad inerpicarci lungo le Ande, finalmente entreremo nel vivo della nostra avventura.

DA PISCO A CUSCO
Inizia dunque il tragitto che attraverso gli splendidi paesaggi andini ci porterà diritti (o quasi!) a Cusco. Ci allontaniamo da Pisco e ci avviamo in direzione Ayacucho,lungo la “Via de los Libertadores”, ancora una volta accompagnati dalla nebbia e sempre scortati dal buon Hugo. Dopo aver percorso circa quaranta chilometri ci fermiamo presso le rovine del Tambo Colorado dove sorgono i resti di un’ antica città edificata dagli Incas. E’ qui che ci troviamo ad affrontare la prima noia di ordine meccanico, infatti una delle motociclette necessita urgentemente di un intervento alla frizione. Dopo i primi comprensibili attimi di smarrimento, la situazione evolve positivamente
grazie all’ingegno e all’operosità di mani super esperte.
Ci rimettiamo in strada e piano piano comincia a profilarsi davanti a noi l’imponente scenario dei rilievi andini adagiati sopra estese vallate, illuminati da un sole abbagliante e macchiati da coloratissimi villaggi. Il clima comincia a farsi rigido e l’altitudine inizia a dare i suoi effetti, non solo su di noi ma anche su alcune delle motociclette la cui carburazione risente della rarefazione dell’aria. Quando giungiamo ai 4746 m. del passo Apacheta avvertiamo i primi mal di testa e una sensazione di malessere generale; sono queste le prime avvisaglie del “soroche”. Scendiamo così verso Ayacucho che con i suoi 2700 m. di altitudine dovrebbe restituirci un po’ di forze. Ed infatti una bella doccia e una bella cena ci rimettono in sesto. La città ci appare vitale ed accogliente ma sostiamo qui solo per la notte, l’indomani ricominceremo a salire e per due giorni gli appassionati di fuoristrada avranno di che divertirsi.
Il mattino successivo c’è una splendida giornata di sole e dopo una super-energetica colazione ci apprestiamo a riprendere il nostro cammino verso Cusco. Il pulmino oggi, oltre a trasportare i soliti bagagli, dà asilo anche a qualche passeggera particolarmente in panne. Appena fuori il centro di Ayacucho diciamo bye-bye all’asfalto poiché fino a 200 chilometri da Cusco correremo esclusivamente su sassi, pietre e sabbia. La carovana si mette in moto, alle spalle sempre Hugo che con il suo buon umore e la musica del suo mangianastri tiene compagnia a chi viaggia con lui.
Dopo qualche chilometro il pulmino, che arranca lungo la strada polverosa, perde di vista i motociclisti che lasciano come testimonianza del loro passaggio solo nuvole di polvere. Ben presto all’ interno del pulmino è tutto ricoperto da una bianca cipria che si stende uniformemente sopra ogni cosa, persone comprese. La tappa, che stasera ci vede arrivare ad Andahuaylas, risulta essere alquanto impegnativa anche perché la guida, su questo terreno piuttosto sconnesso, richiede un’ attenzione e una presenza continui. Per tutto il giorno si sale e si ridiscende lungo magiche valli che sembrano dipinte e si attraversano minuscoli villaggi che confinano con il cielo, vivacemente animati da popolazioni indios. A sera fatta anche il pulmino giunge al piccolo albergo di Andahuaylas dove finalmente ci si ritrova. Stanchi, affamati e completamente imbiancati dalla polvere ci avventiamo su pollo e patatine e ci godiamo il nostro meritatissimo riposo. Dei 320 chilometri che ci dividono da Cusco, ben 120 sono ancora sterrati quindi di buon mattino raccogliamo tutte le nostre energie e ci rimettiamo in marcia. Fisicamente più di qualcuno comincia ad accusare qualche malessere legato al “soroche” e alla grande escursione termica tra le ore del giorno e la sera così ci si ritrova ad affrontare tappe spesso lunghe e impegnative chi con forti mal di testa, chi con raffreddori, chi addirittura febbricitanti. Ad Abancay ritroviamo l’asfalto il che ci permette di proseguire il nostro cammino con un po’ più di rilassatezza; dopo 200 chilometri di buche e sassi ora le motociclette, su di questa striscia grigia, sembrano scivolare dolcemente.
All’imbrunire arriviamo in vista della mitica Cusco conosciuta anche come “ombelico del mondo” e centro di fondamentale importanza per lo sviluppo della civiltà incaica. Qui lasceremo i nostri mezzi a riposo per un paio di giorni mentre noi ci dedicheremo alla visita di Machu Picchu, della Valle Sagrada e di Cusco stessa. Qualcuno di noi, nonostante i 3400 m. di altitudine e le temperature serali decisamente rigide, cercherà di riprendersi dai propri malanni.

CUSCO E DINTORNI
Cusco, adagiata in una conca a 3400 m. sul livello del mare, oltre ad essere un centro di grande interesse archeologico e storico, è indubbiamente anche una località molto piacevole dal punto di vista strettamente turistico. La grande piazza, dominata dalla Cattedrale e circondata da porticati, si presta ottimamente a pigre passeggiate sia di giorno che di sera durante le quali si può godere dei dolci suoni della musica andina. L’artigianato presente è molto vario e bellissimo, naturalmente acquistiamo i tipici berretti multicolore che ci infiliamo immediatamente viste le temperature non proprio estive.
La zona nei dintorni di Cusco è particolarmente ricca di testimonianze del passaggio e dell’ evoluzione della civiltà incaica . Partendo da qui infatti e seguendo il percorso del fiume Urubamba si snoda la Valle Sagrada, un tempo insediamento delle popolazioni Incas. La strada, che percorriamo a bordo del pulmino di Hugo, serpeggia sui fianchi delle montagne mostrandoci i grandiosi panorami andini incorniciati da vette innevate e le monumentali opere di terrazzamento inframezzate da colture di mais e grano. Sdraiato in mezzo alla valle e immerso in una quiete quasi irreale sorge il villaggio di Pisac dove si tiene un famoso e animato mercato e dove facciamo merenda con delle ottime “empanadas” appena sfornate.
Ovviamente chi giunge a Cusco non può sottrarsi alla visita della mitica Città Perduta degli Incas ovvero Machu Picchu e noi non facciamo di certo eccezione anche se il biglietto che comprende il trasferimento da Cusco e l’ ingresso ha un costo esageratamente elevato.
A meno che non si voglia percorrere a piedi l’antico “sentiero dell’Inca” il treno rimane l’unico mezzo possibile per raggiungere le famose rovine. Dopo il primo zigzagare sulle pendici della montagna sopra Cusco, comincia la lenta discesa verso Ollantaytambo e costeggiando le rive dell’Urubamba si arriva alle porte della grande foresta amazzonica. Ad Agua Calientes decine di autobus in un andirivieni incessante, accompagnano le centinaia di turisti all’ingresso di Machu Picchu. E’ indubbiamente uno spettacolo di straordinaria bellezza mescolata ad un fascino misterioso che ha il potere di far sentire lo spettatore inadeguatamente piccolo. La grande ressa chiassosa di turisti, che ovviamente un posto del genere attira, si contrappone in maniera forte alla sacralità di questo monumento che troneggia silenzioso tra lo smeraldo della Grande Foresta.
Rimane in ogni caso un luogo magico ed emozionante.
Saliamo nuovamente sul nostro trenino colorato e facciamo rientro a Cusco da dove domani, in sella alle nostre moto, ci dirigeremo in direzione del lago Titicaca.

IL LAGO TITICACA
Ci avviamo quindi alla volta del lago Titicaca famoso soprattutto per essere il lago navigabile più alto del mondo e ci avviciniamo alla nostra ultima tappa peruviana. Il tempo è sempre bello anche se le temperature, specialmente nelle ore mattutine e alla sera, sono decisamente pungenti. La strada, che ci accompagna a Puno, serpeggia dolce tra colline verdi e ocra dove spuntano piccoli villaggi animati da donne nei loro abiti colorati. Qualcuno di noi è ancora alle prese con il “soroche” e ci chiediamo come sia possibile vivere e lavorare in un contesto così proibitivo sommato poi allo stato di povertà in cui versano queste popolazioni. Raggiungiamo il passo La Raya a quota 4350 m. ma effettuiamo una breve sosta solo per goderci l’incantevole paesaggio, qui soffia davvero un vento gelido!
Quindi scendiamo attraversando la città di Juliaca ed arriviamo in vista di Puno, sulla sponda nord-occidentale del grande lago, nelle prime ore del pomeriggio. Purtroppo è arrivato il momento di salutare il nostro amico Hugo, la sua missione è terminata; farà ritorno a Lima col suo pulmino e mentre per lui sarà stato un lavoro come un altro per noi è stato davvero un angelo custode. Il restante pomeriggio è dedicato in gran parte a rimettere in sesto le motociclette che più hanno risentito degli effetti della mancanza di ossigeno, anche in vista delle prossime tappe che si preannunciano le più impegnative del viaggio. Fortunatamente abbiamo tra i partecipanti dei veri “maghi della moto” che in più occasioni si sono rivelati davvero provvidenziali.
Il lago, a cavallo tra Perù e Bolivia, anticamente fu rifugio del popolo degli Uros che qui si stabilirono erigendo, come forma di abitazione, capanne che poggiano su diversi strati di giunco. Il risultato ( peraltro molto folcloristico) sono degli zatteroni galleggianti dove oggi vive una popolazione solo in apparenza discendente dall’antico popolo, in realtà questo sistema di isole artificiali è legato a scopi quasi unicamente turistici. Su piccole barche a motore, dopo circa tre ore di viaggio, si raggiunge un’isola chiamata Taquile. E’ una sorta di villaggio-cooperativa all’interno del quale le donne si occupano dell’agricoltura e gli uomini del lavoro a maglia. Appostati in ogni angolo dell’isola decine di “maschietti” di tutte le età trascorrono il loro tempo sferruzzando abilmente e confezionando berretti, guanti, maglioni.
La parte peruviana del viaggio sta dunque per concludersi e fino ad ora, a parte qualche piccolo inconveniente, non abbiamo incontrato grosse difficoltà; le motociclette sembrano in forma e noi, dopo litri di mate de coca, ci auguriamo di esserlo altrettanto.


LA PAZ E POTOSI’
Fiancheggiando le rive del lago salutiamo questo Perù che ci ha regalato grandi emozioni e ci dirigiamo verso il confine con la Bolivia dove ci attende sicuramente la parte più aspra del viaggio ma anche quella più selvaggia e più esaltante.
In tarda mattinata arriviamo alla frontiera di Desaguadero sotto un cielo grigio che minaccia pioggia. C’è una gran confusione, un gran viavai di umanità: chi ci butta un occhio distratto e allunga il passo perplesso e chi rimane tutto il tempo immobile ad osservare ogni nostro minimo gesto. Ci sono bimbi curiosi dagli occhi vispi e nerissimi, donne dalle lunghe trecce corvine sotto la bombetta, venditori di tutte le età e di ogni cosa, insomma un fitto brulicare colorato e indaffarato.
Le operazioni doganali si svolgono in un tempo relativamente breve così ci mettiamo in marcia in direzione di La Paz.
A circa quaranta chilometri dopo il confine sorgono i grandi, imponenti resti dell’antico impero di Tiahuanaco risalenti approssimativamente al 600 A.C.: pesanti e massicci monoliti decorati e scolpiti che ancora oggi non sono stati completamente decifrati.
La Paz, capitale amministrativa della Bolivia, vista dall’alto, è impressionante nella sua grandezza. Incastonata nella valle e con sfondo la maestosa Cordillera Real, sembra quasi irreale. Entriamo in città e cerchiamo di farci largo in mezzo al traffico abbastanza caotico in un groviglio di strade affollate e in continuo sali-scendi.
Purtroppo il tempo che abbiamo a disposizione non ci permette di assaporare appieno il clima che si respira in questa città e così dobbiamo accontentarci di una passeggiata attraverso le affollate vie del centro e della visita alla cattedrale che domina la piazza centrale senza tralasciare il misterioso quartiere delle streghe sulle cui bancarelle sono esposti amuleti di ogni genere e feti di piccoli animali.
Salutiamo anche La Paz ormai proiettati verso i grandi altopiani boliviani. Il clima è particolarmente rigido ma splende un bel sole e belli in fila si procede su strade praticamente deserte. Oltrepassata la cittadina di Oruro costeggiamo le rive di un grande lago salato fino a giungere al villaggio di Challapata. Qui facciamo rifornimento di benzina, consumiamo un frugalissimo pranzo e ci rilassiamo un attimo in vista dei 175 chilometri di sterrato che ci dividono da Potosì. Questa città con i suoi 4090 m. di altitudine è la più alta del mondo ed è conosciuta anche con il nome di “ città dell’argento”poiché ai tempi della dominazione spagnola vennero estratte dalle miniere del Cerro Rico tonnellate del prezioso metallo arricchendo i dominatori ispanici e causando la morte di milioni di persone tra le popolazioni locali.
Probabilmente chi affronterà tra qualche tempo la “La Paz-Potosì” sarà più fortunato di noi poiché proprio durante il nostro passaggio erano in corso i lavori di asfaltatura. La presenza di grosse macchine operatrici che all’improvviso compaiono davanti a noi e il fondo particolarmente dissestato rendono questo tratto molto impegnativo. I panorami che ci scorrono davanti però sono mozzafiato. Il cielo è di un azzurro pazzesco e le montagne che si stagliano contro, creano un contrasto incredibile. I colori sono intensissimi e tutta la valle, che precipita in stretti canyon, ci inghiotte in un turbinio di rossi, gialli e verdi che il sole al tramonto amplifica, quasi esasperandoli. Dopo un ultimo tratto sabbioso e ormai a sera fatta arriviamo stanchi all’Hacienda Cayara; davvero il posto ideale per ricaricarsi prima di cimentarsi nelle piste desertiche boliviane. Trascorriamo, in questa residenza coloniale del 1600, un paio di giorni veramente rilassanti immersi nel silenzio e in un atmosfera di grande serenità.

DA POTOSI’ A SAN PEDRO
Ci dispiace un po’ lasciare questo paradiso di tranquillità ma ci aspettano altri paradisi forse non così riposanti ma sicuramente altrettanto magici.
Iniziamo quindi a percorrere gli oltre 200 chilometri, interamente sterrati, che nel tardo pomeriggio ci porteranno a Uyuni alle porte del mitico deserto di sale. Anche il tragitto di oggi ci regala splendidi paesaggi, cieli azzurri, grandi spazi dove perdersi nella vista di una natura così aspra ma generosa al tempo stesso. Grandi formazioni rocciose dalle forme bizzarre sovrastano nella loro imponenza le silenziose vallate quasi profanate dal passaggio rumoroso delle motociclette.
Al piccolo villaggio di Ticatica, durante una breve sosta, veniamo attorniati da una nuvola di bimbi.
Nei loro abiti colorati, con gli occhi acquosi e le guance rosse bruciate dal sole e dal vento ci tendono le manine. Distribuiamo biscotti ed è per loro una piccola vittoria accaparrarsene uno. La vita in questi villaggi dispersi negli altopiani è davvero fatta di niente e, forse con retorica, ci si chiede che razza di mondo sia un mondo che ha la maggior parte delle risorse concentrate in poche privilegiate aree del pianeta.
Un tramonto infuocato, accentuato dal riverbero degli ultimi lunghi raggi del sole sulla bianca superficie di sale, ci guida in un’ ultima veloce corsa quasi a sprofondare dentro questo incendio arancione. Siamo arrivati a Uyuni. L’ingresso in paese, con il tramonto alle spalle e lungo una diritta strada polverosa è molto suggestivo, ricorda un po’ scenari da Far West. Sembra un paese ai confini del mondo, sembra la frontiera di nessun luogo e di nessun tempo.
Fa decisamente freddo, così per cena ci infiliamo in un caldo localino dove ci gustiamo una più che discreta pizza.
Dopo mille vicissitudini, ci affidiamo ad una agenzia locale che ci fornisce le jeep di supporto per l’attraversamento del grande salar e che ci seguiranno fino al confine con il Cile.
Il mattino seguente siamo pronti e belli carichi di entusiasmo, quindi non ci resta che andare incontro a questo sconfinato mare bianco. A poco a poco il terreno scuro di terra e sabbia lascia il posto dapprima a timide lingue bianche che si intersecano con esso e poi con violenza viene completamente inghiottito da un candore senza fine. Si apre davanti ai nostri occhi increduli uno spettacolo davvero unico: sul raggio di 360° e per decine di chilometri non si intravede null’altro che non sia bianca distesa di sale. Le motociclette scivolano veloci e leggere sul fondo compatto ricamato da vaghe forme esagonali, spaziando liberamente su questa coltre così invitante nel nulla più assoluto. Proseguendo lungo questo magico mondo immacolato si intravede da lontano una piccola macchia scura la cui forma ricorda le sembianze di un pesce: è l’Isla do Pescado. Questa isola di origine lavica, come un grande monumento, si erge prepotente nel bel mezzo del bianco deserto con le sue centinaia di cactus giganti alti anche dieci metri.
Verso l’imbrunire dopo uno sterrato a tratti sabbioso, a tratti ricoperto da fastidiosissimo tole-ondulee arriviamo al piccolo villaggio di San Juan dove si lavano via i residui salini dalle moto e dove un tramonto da favola ci accompagna alla fine di questa straordinaria giornata.
Nel rifugio, dove consumiamo la nostra cena a lume di candela, le guide ci comunicano che, a causa dell’abbondante neve caduta a giugno, la pista che passa attraverso il deserto di Siloli, con ogni probabilità, è resa impraticabile. Un po’ a malincuore decidiamo di abbandonare l’itinerario iniziale a favore di un altro percorso che passa più a sud, risultato alla fine anch’esso molto impegnativo.
Il mattino seguente, caricati bagagli e passeggeri sulle jeep, si parte lungo questo sterrato che fin dall’ inizio risulta essere alquanto duro. Lunghi tratti sabbiosi si alternano a vere e proprie pietraie che causano numerose cadute per fortuna prive di conseguenze. Nonostante la grande concentrazione che richiede la guida, ci si gode ugualmente gli immensi spazi deserti battuti dal vento e tutto sommato tutta questa fatica sembra avere un senso.
Purtroppo cominciano anche i guai: alla fine di un rettilineo di terra battuta e quindi apparentemente innocuo compaiono all’ improvviso delle profonde crepe che causano la violenta caduta di Andrea, capogruppo del viaggio e quasi sempre “apripista” alla testa del gruppo di moto. Fortunatamente il nostro centauro se la cava con una ferita al naso, la motocicletta invece subisce dei danni a carico della sospensione anteriore. Dopo qualche chilometro siamo costretti a fermarci in un villaggio ma anche agli occhi dei più esperti del gruppo il problema sembra senza soluzione. Non ci rimane altro che reperire un mezzo su cui trasportare la moto fino al confine con il Cile. Da lì sarà più facile organizzare un intervento di riparazione. Il nostro sguardo cade su un vecchio camioncino azzurro datato 1956. Anacleto, il proprietario, dopo una breve contrattazione, decide di accompagnarci.”Ma solo fino alla Laguna Colorada!” ci dice.
La strada è ancora lunga e il terreno sempre molto impervio. Si avanza lentamente e a fatica e il sole non tarda a tramontare. Non appena si fa buio il primo gruppo di motociclisti arriva finalmente al rifugio. Un altro gruppo, tratto in inganno da piccole luci che brillano sulla montagna, imbocca una pista sbagliata allontanandosi pericolosamente. Verranno recuperati dagli amici partiti a bordo delle jeep. A sera inoltrata ci si ritrova nella camerata del rifugio: chi stremato, chi semicongelato, chi dolorante. Stanchi ma finalmente al sicuro ci prepariamo degli ottimi spaghetti e ci regaliamo un sonno ristoratore a conclusione di una giornata piuttosto movimentata.
La notte porta consiglio ad Anacleto che cede alle nostre insistenze decidendo così di seguirci fino al confine con il Cile. Fa un gran freddo, durante la notte la temperatura è scesa a –17°, e la Laguna Colorada è lì fuori. Con le sue acque rosso cupo e le centinaia di fenicotteri che la popolano, da vita ad uno scenario talmente spettacolare da farci dimenticare ogni fatica.
Costeggiamo queste acque incredibili fino a quando lentamente la pista comincia ad inerpicarsi ed a essere quasi completamente invasa dalla neve. Ci troviamo su un passo a oltre 5000 m. di altitudine ed è questo il punto più elevato raggiunto dalla carovana di Incas 2002.
La carreggiata piano piano si allarga aprendosi su un’ampia valle intitolata a Salvador Dalì fino a precipitare nelle acque smeraldine della Laguna Verde sovrastata dai 5960 m. del vulcano spento Licancabur che col suo cono domina con fierezza l’intero altopiano.
Dopo pochi chilometri arriviamo alla piccola casupola che funge da posto doganale; tra poco saremo di nuovo nel mondo “civile” e ci lasceremo alle spalle questi luoghi aspri e deserti che però ci hanno regalato emozioni indescrivibili. Salutiamo il nostro prezioso amico Anacleto con una gelida foto ricordo e dopo l’ultimo breve tratto sterrato ci lasciamo andare lungo la ripida discesa che porta diritti a San Pedro de Atacama.

DA SAN PEDRO A SANTIAGO
Appena cinquanta chilometri separano la natura selvaggia degli altopiani boliviani da San Pedro precipitando quindi in breve tempo da 5000 a 2500 m. di altitudine.
E gli stessi cinquanta chilometri marcano in maniera netta anche l’enorme divario economico che separa i due stati. Le operazioni doganali sono piuttosto lente e i controlli, soprattutto per chi proviene dalla Bolivia, anche abbastanza minuziosi.
La motocicletta “infortunata”, con la dovuta cautela, percorre “sulle sue ruote” questo tratto d’asfalto: ora possiamo occuparci con calma della sua “guarigione” visto che qui trascorreremo due giorni di relax. Ed infatti questo centro è davvero rilassante ed accogliente, con un clima piacevole, vivace senza essere caotico.
Lungo le vie del paese, volutamente polverose, si affacciano piccoli negozi di artigianato, decine di internet-cafè e originalissimi ristorantini dove si gustano ottimi piatti in un’atmosfera vagamente new-age.
Ci spostiamo nei dintorni di San Pedro per visitare le grandi distese rocciose e aride della Valle della Luna e i suoi affilati pinnacoli dalle forme ruvide e contorte. Questa nuda superficie a tratti coperta da cristalli di sale si estende per chilometri offrendo panorami davvero singolari. Si potrebbe girovagare per giorni tra queste guglie spigolose, tra i canyon scavati fra le rocce, tra sculture di pietra che il vento ha reso irripetibili, tra tramonti che si allungano in orizzonti senza fine. Nel frattempo Andrea, accompagnato dal fido amico Marco, si recano nella vicina città di Calama dove un giovane ma volenteroso meccanico rimette in sesto il Telelever della grossa Bmw.
Ma noi giorni a disposizione ormai ne abbiamo pochi. E così comincia il nostro avvicinamento a Santiago. La strada corre veloce sotto di noi. E pensare che solo poche ore fa si arrancava su piste tortuose di pietre e di sabbia!!!!!
A destra e a sinistra il deserto di Atacama, il più arido del mondo, ci tiene compagnia con il suo paesaggio sempre uguale a se stesso fatto di miniere, di ruderi di vecchie abitazioni e di piccoli cimiteri posti al limite della carreggiata. Un grande paesaggio fantasma a testimonianza dell’ intensa attività estrattiva dei primi anni del ‘900. Eppure tutto questo vuoto ha un fascino impagabile.
Oltrepassata la linea del Tropico del Capricorno scendiamo rapidi verso sud fino a ricongiungerci al grande oceano. A poco a poco i timidi ciuffi d’erba diventano prati e la vegetazione trasforma lo scenario da desertico a mediterraneo. Come in un cerchio che si chiude ci ritroviamo improvvisamente immersi nella stessa fitta nebbia che ci accolse a Lima.
Arriviamo a Santiago dove inesorabilmente cala il sipario su questa indescrivibile avventura. Sotto un pioggia leggera ma insistente salutiamo le nostre moto che finalmente potranno godersi un meritatissimo riposo. Noi ci trastulliamo ancora qualche giorno, dopodiché faremo rientro in Italia.
Per ognuno di noi comincierà un nuovo viaggio che è quello delle sensazioni e delle emozioni che abbiamo avuto la fortuna di provare. E’ un viaggio che passa dentro gli sguardi intensi che abbiamo incrociato, dentro le vite semplici ma dignitose che abbiamo sfiorato appena, dentro le luci e dentro i colori di mille paesaggi da favola. Passa attraverso le difficoltà che talvolta ci hanno messo alla prova e attraverso leggeri attimi di spensieratezza pura.
Come in un film questi fotogrammi silenziosi ci scorreranno dentro gli occhi regalandoci ogni volta le stesse magiche emozioni che ci faranno rivivere momenti indimenticabili.

Per maggiori informazioni e fotografie su questo viaggio, e’ possibile visitare il sito Web: http://motopaletti.geobox.it

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